Il risultato che ci è stato garantito dall’Unione Monetaria, ovvero dal Trattato di Maastricht in poi, è il completo asservimento del volere democratico alla finanza per effetto di politiche non tese al regolamento del commercio internazionale quanto ad affermare i diritti di multinazionali e del capitale, tramite l’abbattimento dello stato sociale, le privatizzazioni di beni e servizi pubblici e il crescere costante degli interessi sul debito.
Le risposte date allo strozzinaggio che pende sulle nostre teste vanno dall’adozione degli Eurobond, ad una moneta-euro “a due velocità” all’utilizzo di monete complementari e parallele a livello locale.
Non da ultimo, il recupero della sovranità monetaria e quindi la possibilità di stampare moneta nel nostro territorio e di svalutare in funzione alle esigenze di un’economia reale, non schiave delle logiche di profitto dei vari azionisti. La Bankitalia s.p.a potrebbe essere ricapitalizzata e ritornare sotto il controllo totale dell’Esecutivo come era prima del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981 e che comportò un’esplosione del debito pubblico a causa degli alti tassi d’interesse offerti dai mercati privati per il finanziamento della spesa pubblica italiana. La statalizzazione di Bankitalia è prevista peraltro dagli artt.123 e 140 par. 2 del Trattato di Maastricht.
Si potrebbe prevedere poi la divisione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento impedendo così che l’economia reale possa essere direttamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari, consentendo così maggiore stabilità nel medio-lungo termine.
Il Movimento intende realisticamente e primariamente rivedere i Trattati che, va detto, non prevedono la possibilità di uscita dalla moneta unica, ma solo dall’Unione Europea.
Se l’Europa non vorrà ridiscutere i Trattati, si valuteranno soluzioni estreme.
Senza condizione alcuna, proponiamo l’abolizione del fiscal compact, un trattato internazionale e non dell’Unione Europea, che sarà pienamente operativo dal 2015, introducente una serie di regole vincolanti e a carattere permanente atte a rinsaldare la politica di bilancio dell’unione economica e monetaria. Esso prevede il cd. pareggio di bilancio, come previsto dalla nuova formulazione dell’art. 81 della Cost., con il quale lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. Ciò significa che ad ogni investimento fatto (per costruire scuole, ospedali, strade, ferrovie ecc…) deve corrispondere almeno un pari importo in entrata (tasse) che, in una fase di recessione come la nostra, significherebbe non poter rilanciare la domanda, quindi l’economia. Non a caso, Paul Krugman, premio nobel per l’economia, afferma che ciò potrebbe comportare la completa dissoluzione dello stato sociale.
L’Italia ha provveduto, con Legge Costituzionale n.1 del 20 aprile 2012 a modificare gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione.
E questo non è tutto. Solo i Paesi che avranno introdotto il pareggio di bilancio, potranno accedere al Meccanismo europeo di stabilità (MES), impropriamente chiamato “fondo salva-stati”, una vera e propria “organizzazione sovranazionale” guidata da membri non eletti da nessuno. E’ già operante e ci è già costato 46 miliardi di euro su un totale di 125 miliardi da versare entro il 2017, soldi delle nostre tasse che potevano essere reinvestiti per il sostegno all’economia reale del nostro Paese e che invece sono andati in un fondo per salvare l’Euro. Come nel caso della Grecia, ogni volta che uno Stato farà richiesta di accesso al fondo, il Mes glielo fornirà con un tasso di interessi applicato; dal canto suo, la Troika imporrà poi un rientro nei parametri di debito, a colpi di tasse e tagli dei servizi statali, insostenibili per i cittadini.
Il fiscal compact riprende ed aggrava i principi del Patto di stabilità e crescita del 1997: 3% del rapporto deficit/pil e soglia 60% nel rapporto debito/pil.
Altra regola da spazzare via completamente è il piano di rientro ventennale del rapporto debito/PIL al 60% e l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL. Gli stati membri si impegnano a raggiungere questo obiettivo in venti anni, riducendo dunque di un 5% annuo il proprio indebitamento. Il periodo di attuazione è dunque lungo, ma per un paese come l’Italia questo significa comunque un impegno particolarmente oneroso. Le manovre di austerità infatti hanno ulteriormente aggravato la situazione a causa del crollo del PIL che ne è conseguito. Per l’Italia dunque si tratterebbe di trovare qualcosa come circa 50 miliardi di euro l’anno per i prossimi venti anni a patto, s’intende, che non vengano contratti ulteriori debiti. Tra l’altro, in virtù del recente decreto sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione con le imprese e i privati (40 miliardi in due anni) il rapporto debito/PIL salirà circa al 133%.
L’art.16 del Trattato sul Fiscal Compact prevede che entro cinque anni esso dovrà essere inserito nel diritto dell’Unione Europea tramite votazione ad opera del Parlamento Europeo.
E’ necessario che il M5S entri con forza nel Parlamento Europeo.
#arivederelestelle
Pallotto Marina Adele