Una scuola troppe volte rea di favoritismi e clientelismo nei confronti del personale come dell’utenza, che oggi in funzione del profitto disapplica la legge, come quella sul part-time in nome dell’autonomia scolastica. Autonomia che non sa valorizzare il personale, utilizzandolo come “tappabuchi” e che, non solo non sta funzionando, ma rende un cattivo servizio alla collettività. Senza per questo voler considerare l’aumento dell’occupazione e le esigenze vitali che un contratto di lavoro part-time permette di assolvere.
Nel frattempo fenomeni come nonnismo e “l’ultimo arrivato”, rimesso ai compiti più gravosi, la fanno da padroni senza che il merito venga premiato, in una guerra costante tra genitori/studenti e insegnanti, quest’ultimi diventando un numero mal gestito da dirigenti, replicanti del sindacato o del partito, incapaci di dare risposte a un’utenza sempre più ingerente.
Quello che il Preside una volta risolveva con la sua autorità, oggi è motivo per il Dirigente di ricercare un capro espiatorio che si accolli responsabilità che fanno capo a lui.
Si è passati dagli organi collegiali e la democratizzazione della scuola alla possibilità di avanzare ogni istanza particolare e utilitaristica.
L’autorità della scuola viene messa in discussione con un’inversione dei ruoli: oggi sono gli insegnanti a essere valutati. Su due fronti. Prima vengono valutati dai genitori e dai figli, e poi dal Dirigente-manager autorizzato a debordare nell’abuso e in nome dell’autonomia territoriale e della discrezionalità amministrativa.
Un’autorità contestata sistematicamente mediante il ricorso ai media, dove genitori anonimi possono mettere alla gogna l’insegnante, con la compiacenza di chi vuole distruggere l’autorità scolastica in funzione del capitale privato e delle proprie istanze egoistiche.
La scuola non è in grado di far fronte alle nuove esigenze, come quella dell’educazione ai new media o quella sessuale – da decenni presente nei programmi scolastici dei paesi nordici, e che sta mancando nel suo compito primo: formare le future generazioni a un mondo senza più frontiere, dove i pericoli hanno cambiato le vesti.
I principi di giustizia, meritocrazia e di equità devono ispirare l’umanesimo della scuola, che è di tutti e per tutti: non c’è nulla di più ingiusto che fare parti eguali tra diseguali, mentre il qualunquismo di poche e ristrette cerchie esautora la funzione dell’insegnamento. Non che ci si debba ancora alzare in piedi all’ingresso in classe dell’insegnante, ma, in questa attuale inversione di tendenza, chi ci sta rimettendo sono i discenti e tutta la società.