La strada a garanzia della privacy del Cittadino che subisce stupri social-mediatici nel web è, però, ancora lunga.
In primis perché non c’è alcuna voglia da parte dei colossi del web di certificare i propri utenti con un documento che ne permetta la rintracciabilità, in secundis perché non c’è alcuna volontà né interessi a difesa del singolo Cittadino.
Come sempre succede in Italia, si aspetta una “morte illustre” per fare una legge. Diversamente l’Ue si è già mossa con il “Publisher’s Right” per fornire ai piccoli e grandi editori la difesa della proprietà dei contenuti nelle pubblicazioni on line (copyright), che non potranno più essere copiate o riutilizzate a scopi commerciali, tanto che la diffusione degli stessi diventa reato. Un nuovo assetto legale che è finalizzato a fermare pirateria e parassitismo di chi scopiazza su ampia scala e monetizza il lavoro di altri. Mentre gli utenti potranno sempre condividere e postare link, gli unici che si accorgeranno della riforma saranno i motori di ricerca e l’e-commerce che lucrano senza pagare alcunché.
Il Publisher’s Right non migliorerà il selvaggio comportamento dei cyberbeti, cybervilnauti, spammernauti e di tutti gli imbecilli che fanno “Eco” nel web alle persone danneggiandole, senza che l’Ue né l’Italia si preoccupino di porvi rimedio. Basterebbe invece solo sancire che nessun anonimo o noto del web ha diritto di appropriarsi e divulgare immagini, video, suoni se non ha il preventivo consenso del soggetto proprietario, che deve essere provato.